Origine e dinamiche del comportamento

Il comportamento è qualsiasi azione o reazione che una persona manifesta rispetto all’ambiente. E’ in base all’osservazione del comportamento che avviene la percezione degli altri. Ma anche la percezione di sè avviene attraverso l’espressione del proprio comportamento.
Il comportamento si forma dalle sue basi ed esse si formano attraverso l’imprinting. Imprinting significa “stampare” le caratteristiche di base del comportamento, che sono i pilastri della personalità.

L’imprinting si struttura nell’infanzia, o meglio nella prima infanzia, attraverso i comportamenti che le figure genitoriali, soprattutto la madre, agiscono nei confronti del bambino. E’ sul modo e sulla qualità dell’imprinting che agisce il tipo di legame di attaccamento che si crea tra la madre e il bambino; e il tipo di legame di attaccamento dipende dalle caratteristiche emotive della madre. Se la madre assume nei confronti del figlio un atteggiamento accettente, calma, rassicurante, si strutturerà un legame di attaccamento sicuro. Ciò significa che il bambino, adeguatamente nutrito dal punto di vista psico-affettivo, svilupperà in età adulta comportamenti dettati da un modo di sentire sicuro e adattato, sarà quindi capace di affrontare l’imprevisto e gestire i cambiamenti relativi ai suoi cicli vitali. Svilupperà quindi una soglia di tolleranza allo stress adeguatamente alta.
Se diversamente, la madre assume nei confronti del bambino un atteggiamento ansioso o rifiutante, il bambino si configurerà a livello immaginativo una realtà potenzialmente minacciosa, quindi da adulto di fronte a situazioni nuove svilupperà ansia, insicurezza e difficoltà di adattamento alla realtà, come pure svilupperà una scarsa tolleranza dell’ambiguità e quindi dello stress.L’attaccamento ansioso con la figura materna rappresenta quindi il presupposto della rigidità percettiva e di conseguenza, della resistenza al cambiamento.
Il comportamento umano è motivato e attivato dai bisogni. Un bisogno è uno stato di carenza dell’organismo, inteso in senso psico-fisico, che spinge il soggetto ad un comportamento, rivolto ad eliminare lo stato di carenza, ripristinando l’equilibrio energetico.Questo vale sia per i bisogni fisiologici che per quelli psicologici (ad esempio , il bisogno di fare carriera spinge il soggetto ad attivarsi, mettendo in atto comportamenti diretti a tale obiettivo.
A. Maslow ha studiato il sistema di bisogni che muove il comportamento umano ed ha elaborato la “Scala dei bisogni”. Secondo Maslow i bisogni umani sono organizzati su di una scala gerarchica, per cui, debbono essere soddisfatti prima i bisogni collocati sui livelli gerarchici inferiori, per poi poter realizzare quelli collocati sui livelli gerarchici superiori.
Maslow inoltre distingue i bisogni di base, necessari alla sopravvivenza, dai bisogni di crescita, che sono quelli relativi alla espressione delle potenzialità individuali. Naturalmente, se non vengono prima soddisfatti i bisogni di base, non possono essere soddisfatti i bisogni di crescita. Questo significa che se l’individuo non provvede prima alla sua sopravvivenza, intesa anche in senso psicologico non può diventare ciò che è, non può cioè far emergere le proprie potenzialità, non può fare ciò per cui è veramente portato, non può, in altri termini esprimere la propria creatività.
Vediamo quali sono questi bisogni che attivano il comportamento umano e come può l’organizzazione lavorativa influenzare la realizzazione di questi bisogni.

1. Partiamo da i bisogni di base, che sono i seguenti:
Bisogni fisiologici: sono quelli strettamente legati alla sopravvivenza fisica (mangiare, dormire). Su questi bisogni l’organizzazione lavorativa può influire attraverso l’attribuzione degli stipendi che garantiscono la sopravvivenza.
Bisogni di sicurezza: consistono nella consapevolezza di avere punti fermi, nel sentirsi accolti, nel sapersi orientare nello spazio con senso di padronanza dell’ambiente. Questi bisogni trovano origine nello sviluppo filogenetico del comportamento; infatti nel 1958 Harlow fece il seguente esperimento che dimostrò l’importanza per la sopravvivenza, dei bisogni di sicurezza. Harlow prese dei cuccioli
di scimmia e mise loro di fronte due madri finte: una metallica che poteva offriva loro il cibo e una di panno che poteva fornire calore; i cuccioli si avvicinavano alla madre di panno e non a quella metallica,
dimostrando così che preferivano il calore al cibo. I bisogni di sicurezza sono presenti in tutti gli esseri umani, ma coloro i quali hanno stabilito da piccoli un attaccamento ansioso con la madre, nel senso che questa non è stata adeguatamente rassicurante, sviluppano da adulti un maggior bisogno di sicurezza e quindi una maggiore difficoltà a gestire i cambiamenti. In una situazione di stabilità organizzativa, l’organizzazione può agire su questi bisogni offrendo una certa stabilità nel lavoro e nelle posizioni lavorative di una persona;
mentre in una situazione di cambiamento organizzativo può, nella persona del leader, accogliere le paure e le insicurezze, senza “penalizzare” la persona che le esprime, svolgendo così una funzione rassicurante.
Bisogni sociali: nascono dal sentimento di appartenenza, ossia dalla necessità di avere consapevolezza di appartenere ad altri, persone o gruppi. Anche questi bisogni trovano origine nello sviluppo filogenetico del comportamento, perché molti animali si aggregano per sopravvivere. La struttura organizzativa può contribuire a soddisfare questi bisogni, facilitando la creazione di
gruppi di lavoro o unità operative, tra persone che stanno bene insieme.
Bisogni di affermazione: sono i bisogni di stima e di autostima e consistono nella necessità di sentirsi riconosciuti e accettati. Questi bisogni sono indispensabili per la percezione dell’immagine
di sè; infatti generalmente , più una persona si sente accettata dagli altri, più sviluppa senso di autogratificazione e senso di autoaccettazione.
L’intensità con cui si prova in età adulta il bisogno di sentirsi accettati dipende da se e come, nell’infanzia il bambino si è sentito accettato dalla madre. In proposito sono significativi gli studi di C. Rogers. Rogers sosteneva che nel bambino, il bisogno di considerazione positiva è talmente forte che pur di ottenerlo,
il bambino rinuncia anche ad esprimere la propria” tendenza attualizzante”.
La tendenza attualizzante è quella forza propulsiva innata negli individui, che tende all’espressione delle potenzialità. Nel bambino si manifesta prevalentemente attraverso il gioco. Ma se ad esempio la madre ansiosa si preoccupa che il bambino giocando possa farsi male e gli trasmette questa paura, minacciandolo di non volergli più bene se continua a giocare in quel modo, il bambino assocerà il suo comportamento esplorativo alla perdita dell’affetto da parte della madre, quindi pur di non perdere il suo affetto rinuncerà
al comportamento esplorativo. Questo ci dice come i bisogni di affermazione (affetto e riconoscimento positivo) sono sentiti alla base, come più importanti dei bisogni di autorealizzazione. L’imprinting infantile
condizionerà la vita adulta, per cui i bambini che sono stati bloccati nella espressione di sè dall’ansia materna, espressa e vissuta come ” se fai così sei inaccettabile”, svilupperanno in età adulta un maggiore bisogno di compiacere gli altri, per ottenerne il consenso, perché continueranno a dare maggiore importanza al giudizio degli altri, anziché all’espressione della propria individualità. Nelle strutture organizzative ci capita di trovare
persone remissive, compiacenti, eccessivamente rispettose dell’autorità. Sarebbe più funzionale che queste persone, anziché “utilizzarle” come tali, venissero valorizzate più in condizioni normali che non quando si comportano in un certo modo per essere lodate. In tal modo si comunica loro che sono comunque accettabili.
Questo tipo di messaggio, espresso attraverso i comportamenti, più che attraverso le parole, può, nel tempo, agendo a livello subliminale sulla persona, operare indirettamente come “esperienza emozionale correttiva”, che lentamente, può, modificando l’imprinting, modificare l’autopercezione e quindi svolgere una funzione rassicurante, che a sua volta facilita la crescita.
Bisogni autorealizzazione: sono i bisogni di crescita, ossia di crescita emotiva. Soddisfatti i bisogni di sopravvivenza, si passa quindi ai bisogni superiori. Ci riferiamo alla espressione delle
potenzialità soggettive. Ciò significa che la persona può diventare ciò che è, far emergere la creatività,
fare ciò per cui si sente portata. Nelle organizzazioni, la selezione del personale, che tiene conto della valutazione del potenziale, rappresenta uno strumento di valorizzazione delle potenzialità. Una persona che fa un lavoro che le piace, si sente creativa e quindi è più soddisfatta, di conseguenza si ammala meno, si stressa meno, ha meno voglia di andare prima in pensione e tutto ciò rappresenta per l’azienda una riduzione di costi e una forma di investimento a medio e a lungo termine.
Saper leggere i comportamenti quindi significa saper osservare per poter cogliere i bisogni sottostanti al comportamento e facilitarne la soddisfazione, operando, dove occorre, anche una modificazione dell’imprinting, per facilitare il processo di crescita nelle persone. Modificare l’imprinting significa comprendere quando la persona esprime una coazione a ripetere di tipo transferale e porsi con un atteggiamento che interrompe quel tipo di transfert che la tiene bloccata su posizioni infantili, legate e bisogni infantili non soddisfatti. Se ad esempio una persona ci mostra resistenza ad accettare un nuovo lavoro, se noi interpreteremo questo comportamento in modo superficiale, potremo pensare che quella persona è inaffidabile e le rimanderemo una valutazione di inaffidabilità. Questo nostro comportamento rinforzerà la resistenza in quella persona. Ma se non sapremmo ad esempio leggere in questo comportamento una sensazione di paura o di inadeguatezza, derivante da un bisogno di sicurezza non soddisfatto, potremmo attraverso l’ascolto e attraverso un atteggiamento di accoglienza, facilitare l’espressione della paura sottostante, quindi la sua elaborazione e il suo conseguenze superamento.

2. Gli assiomi della comunicazione
1° Assioma: è impossibile non comunicare
Tutto è comunicazione, anche il silenzio, perché anche con il silenzio si comunica qualcosa. Ad esempio, il passeggero di un treno che guarda fisso in avanti sta comunicando che non vuole parlare.
2° Assioma: Ogni comunicazione presenta un aspetto di contenuto e uno di relazione di modo che il secondo classifica il primo ed è metacomunicazione.
L’aspetto di contenuto è cosa si dice, l’aspetto di relazione
è come lo si dice.
Esempio: dire: “Fammi subito questo lavoro” e “Vorrei che mi facessi subito questo lavoro perché…” recano lo
stesso contenuto, ma definiscono relazioni molto diverse. Nel primo caso definiscono una relazione di dominio-sottomissione, nel secondo caso una relazione di partecipazione-collaborazione. Quindi, le risonanze emotive e le risposte comportamentali che provocano questi due messaggi sono molto diverse.
E’ quindi l’aspetto di relazione che chiarisce il significato del contenuto.
3° Assioma: la natura della comunicazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti.
Significa che in una relazione, entrambi i partner sono contemporaneamente causa ed effetto di ciò che accade nella relazione. Facciamo un esempio: supponiamo che in una situazione aziendale due colleghi di lavoro abbiano un problema del quale entrambi sono in parte responsabili.
La relazione che si instaura è la seguente: uno si chiude in sé, l’altro lo critica. Quando spiegano le loro frustrazioni, uno dichiara che chiudersi in sé è l’unica difesa contro la critica dell’altro, mentre l’altro dice che lui si chiude perché l’altro si comporta in modo arrogante.
Alla fine vedremo che i loro litigi si riducono ad uno scambio ripetitivo dei seguenti massaggi: “io mi chiudo perché tu mi critichi” ed “io ti critico perché tu ti chiudi.”
Quindi possiamo dire che la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle comunicazioni tra i comunicanti. Questo modo di comunicare porta ad una sempre maggiore chiusura della comunicazione su ciò che sta accadendo.
4° Assioma: gli esseri umani comunicano sia con il linguaggio numerico che con quello analogico.
Il linguaggio numerico ha una sua sintassi logica assai complessa e di estrema efficacia, ma manca di una semantica adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio analogico ha la semantica ma non ha alcuna sintassi adeguata per definire, in un modo che non sia ambiguo, la natura delle relazioni.
La comunicazione analogica ha a che fare con le emozioni e quindi con la comunicazione non verbale. Il linguaggio numerico serve a scambiare informazioni, quello analogico definisce la natura della relazione. I due moduli coesistono e sono complementari in ogni messaggio.
Es. Un dirigente sta scrivendo dietro la sua scrivania entra un dipendente e dice: “Le posso parlare?” Il dirigente risponde: “Si l’ascolto, “e intanto continua a scrivere. In questo caso il dirigente con le parole avrà comunicato di ascoltare il dipendente, ma con il linguaggio non verbale avrà comunicato il contrario. Questa
modalità comunicativa si chiama “doppio messaggio” e genera ambiguità e confusione nell’ascoltatore.

3. Le barriere della comunicazione
Quando una persona ha un problema, spesso l’ascoltatore si precipita ad “aiutarlo”, riempiendolo di buoni consigli, di insegnamenti frutto dell’esperienza, o di domande volte ad “accertare i fatti”. A dispetto delle buone intenzioni, questi tentativi, non di rado, peggiorano il problema, invece di risolverlo e impediscono una comunicazione spontanea da parte della persona in difficoltà. Qui di seguito descriverò i principali “tentativi di aiuto; tali tentativi spesso sortiscono l’effetto opposto, trasformandosi in “barriere”, che non solo non sollevano la persona dal suo disagio, ma anzi non di rado, l’aggravano.
E’ importante notare che queste dodici reazioni tipiche sono barriere solo quando la persona ha un problema. Quando il rapporto si muove nell’area non problematica, molte di esse perdono quella qualità negativa e sono anzi appropriate e costruttive (ad esempio fare domande, scherzare, insegnare). Altre, come prendere in giro e canzonare sono sempre rischiose, essendo spesso fonte di problemi per la persona.

  1. Dirigere, dare ordini: Smetti di compiangerti…
    Comunica una mancanza di accettazione o scarsa stima nei confronti della persona. Suscita resistenze e sfida.
  2. Minacciare, ammonire: Non ti farai mai degli amici se… Devi smetterla di preoccuparti tanto, se no…Comunica mancanza di accettazione. Può alimentare paura o sottomissione.
    Può suscitare risentimento, rabbia, disaffezione.
  3. Predicare, moraleggiare: La vita no è tutta rose e fiori…
    Non dovresti reagire così…. La pazienza è una virtù che dovresti imparare…
    Fa sentire “in obbligo” e suscita sentimenti di colpa. Può alimentare nella persona un atteggiamento difensivo e indurla a trincerarsi sulle sue posizioni. Provoca chiusura, disaffezione e contromoralismo.
  4. Consigliare, offrire soluzioni: Io farei così… Perché non provi a comportarti diversamente?…
    Può suggerire che la persona non è in grado di risolvere i suoi problemi. Le impedisce di ragionare sul problema, valutare le possibili soluzioni e verificarle. Può alimentare la dipendenza o suscitare resistenze.
  5. Discutere, cercare di persuadere: E’ qui che ti sbagli… Il fatto è… Si, ma…
    Suscita una posizione difensiva di contro-argomentazione; spesso induce la persona a “tapparsi le orecchie”, a interrompere l’ascolto. Può farla sentire inferiore, inadeguata.
  6. Giudicare, criticare, condannare: Non sei ragionevole, sei soltanto pigro… Forse sei tu che hai cominciato…
    Sottintende incompetenza, stupidità, sconsideratezza da parte della persona. Tronca la comunicazione perché suscita timore del giudizio negativo.
  7. Elogiare, assecondare: Te la stai cavando egregiamente… Hai ragione quel lavoro è molto complicato…
    Suggerisce grosse aspettative da parte dell’ascoltatore e la possibilità di una valutazione futura. Può essere recepito come condiscendenza o come un tentativo manipolatorio di incoraggiare il comportamento desiderato dall’ascoltatore.
  8. Interrogare, inquisire: “Perché… Che cosa… Come…”
    Dato che, rispondere alle domande le espone a critiche, spesso le persone imparano a replicare con false risposte, elusioni, mezze verità o bugie.
  9. Cambiare argomento, fare del sarcasmo, chiudersi: “Parliamo di cose piacevoli… Vorresti rifare il mondo…”
    Suggerisce che le difficoltà della vita vanno scansate, piuttosto che affrontate. Può sottintendere che i problemi della persona sono irrilevanti, puerili o inesistenti: Blocca la sua apertura nel momento in cui sperimenta una difficoltà.

4. La comunicazione efficace – empatia
L’empatia nasce con Carl Rogers negli anni 5O. Rogers, psicologo umanista, notò che tre erano le condizioni necessarie e sufficienti per produrre un cambiamento positivo in una persona. Cambiamento positivo significa che se una persona vive una situazione di conflittualità, di confusione, di malessere, rispetto ad una certa situazione, queste tre condizioni che ora vedremo, sono capaci di far evolvere la persona verso il superamento della difficoltà e quindi verso la crescita.

Queste tre condizioni sono:
L’empatia: capacità di mettersi nei panni dell’altro, pensare e sentire “come se” si fosse l’altro, mantenendo nel contempo il contatto con se stesso e con le proprie emozioni.
La congruenza: stato di accordo interno.
L’accettazione positiva dell’altro: presuppone una visione alterocentrica della vita, secondo la quale si dà per scontato che ogni persona è diversa dall’altra
In proposito Rogers osservava.
“Ponendo che ci sia…

  1.  una minima volontà da parte di due persone di relazionarsi;
  2. una capacità e una minima volontà di entrambi di ricevere informazioni dall’altro;
  3. un rapporto che esiste da un certo e per un certo periodo di tempo,

… allora si ipotizza come valida la seguente relazione”.
Maggiore è la capacità di comunicazione in uno dei due individui, più la relazione con l’altro che ne deriva assumerà una tendenza alla comunicazione reciproca, che si caratterizzerà per una sempre maggiore congruenza, una tendenza alla comprensione più adeguata delle informazioni da parte di entrambi, un migliore adattamento psicologico, quindi un migliore funzionamento di tutti e due e una soddisfazione reciproca per la relazione intrattenuta.
L’ascolto empatico rappresenta quindi una struttura psicologica di accoglienza, nel senso che l’empatia comporta il “sentire” e “l’essere consapevole” delle proprie emozioni, (congruenza), ma anche il “sentire ” e “l’essere consapevole” delle emozioni dell’altro (empatia in senso stretto). Questo processo determina la capacità dell’io di relazionarsi e quindi è indice di maturità affettiva (posizione alterocentrica).
Secondo quanto osservava Rogers, se in una interazione a due, uno dei due partner si pone in modo alterocentrico (e quindi non egocentrico), questo modo di relazionarsi nella persona si “contagerà” all’altro e determinerà corresponsabilità nella relazione, che è indice di maturità sociale.
Questo processo rappresenta il presupposto per la negoziazione dei reciproci punti di vista e quindi, di conseguenza, della prevenzione dei conflitti.

5 Gli strumenti di applicazione dell’empatia
Gli strumenti di applicazione dell’empatia sono: l’ascolto passivo e l’ascolto attivo.
L’ascolto passivo si avvale della comunicazione non verbale ma anche della comunicazione verbale (esprimendo , mentre si ascolta una persona, con parole e suoni, riconoscimento e accettazione.
Es. “Va bene”…. “Si”…). La comunicazione non verbale è rappresentata da tutti quei segnali che noi mandiamo attraverso il linguaggio del corpo.

Vediamo quali sono i principali canali di comunicazione non verbale.
La postura

Consiste nel modo di atteggiare il proprio corpo. Una postura aperta e leggermente inclinata in avanti indica disponibilità verso l’altro; mentre una postura chiusa (braccia incrociate, gambe chiuse) indica che la persona è prevalentemente chiusa in sé.
La prossemica
E’ rappresentata dalla distanza che intercorre tra la persona e il suo interlocutore. Sono tre i tipi di distanza che caratterizzano le relazioni interpersonali.
La distanza personale che è quella che caratterizza i rapporti di tipo amichevole e va da cinquanta centimetri a un metro-un metro e mezzo.
La distanza sociale che caratterizza le posizioni di ruolo e va da un metro-un metro e mezzo a tre metri.
La distanza pubblica è quella che caratterizza le posizioni pubbliche ( es. conferenze).
L’espressione del volto indica ad esempio se una persona è preoccupata, arrabbiata, triste o altro. Lo sguardo è un importante veicolo di comunicazione. Infatti se rivolgiamo lo sguardo a una persona mentre le parliamo o mentre l’ascoltiamo, le comunicheremo attenzione, rispetto e valorizzazione; è come se dicessimo che quello che ci sta comunicando ci interessa. Al contrario, distogliere lo sguardo dal proprio interlocutore esprime scarso valore per ciò che l’altro ci sta dicendo.
Il movimento delle braccia e delle mani
Accompagnare il discorso con una gestualità morbida (movimenti lenti e rotatori delle braccia e delle mani) comunica serenità e senso di rilassamento, mettendo l’interlocutore a proprio agio.
La paralinguistica
E’ tutto ciò che somiglia al linguaggio. Essa è rappresentata dal timbro di voce, dal tono di voce, dalla pause.
Nell’ascolto passivo i canali di comunicazione non verbale che entrano in gioco più degli altri sono il contatto oculare (sguardo) e a postura aperta e leggermente inclinata in avanti, perché questi due elementi denotano abilità di mostrare attenzione.
Altro elemento importante che entra in gioco nell’ascolto passivo è il silenzio.
Silenzio non solo in senso verbale, di non-parole, ma anche e soprattutto silenzio interiore, come vuoto interno di pensieri e sentimenti, come presupposto per il sentire e l’esprimere verso l’altro, interesse e accettazione.
L’ascolto passivo si avvale inoltre della comunicazione verbale, attraverso la espressione di riconoscimento e accettazione dell’altro, tramite l’uso di parole e suoni (es. Va bene… Uhm….)
L’ascolto attivo si avvale della comunicazione verbale e anche della comunicazione non verbale (esprimere empatia attraverso il tono della voce e l’espressione facciale).
L’ascolto attivo si avvale delle seguenti tecniche: La riflessione del contenuto di ciò che dice il parlante, la riflessione del sentimento sottostante al messaggio e il confronto attraverso il messaggio in prima persona.
Riflessione del contenuto o parafrasi consiste nell’abilità di parafrasare ciò che dice il parlante, usando parole diverse e frasi sintetiche. Prendiamo ad esempio la frase seguente.
“Il nuovo coordinatore non lo capisco proprio, così rigido, con le sue regole immodificabili….”
Parafrasi. “Sta dicendo che non riesce a cogliere il senso del suo comportamento?”
Riflessione del sentimento consiste nell’abilità di enucleare il sentimento sottostante al contenuto e rimandarlo al parlante. Nell’esempio di prima, si può dire: ” Si sente sorpreso da questo comportamento?”
Confronto attraverso il messaggio in prima persona consiste in un atto di autorivelazione, attraverso il quale il parlante esprime il proprio punto di vista. Esprimere il proprio punto di vista significa dire ciò che si vuole dire usando frasi come “Secondo me.. Io penso che…” e non invece: “questa è la verità.. Si fa così…”
Usare frasi di questo tipo significherebbe commettere ed esprimere delle generalizzazioni, come tali distanti dalla realtà, perché il nostro punto di vista è ciò che cade alla nostra percezione e non a quella di tutti.
Esprimersi usando messaggi in prima persona significa contestualizzare (e non generalizzare) ciò che si pensa e si dice, assumendosi nel contempo, la responsabilità del proprio pensiero.

La parafrasi e la riflessione del sentimento determinano una condizione psicologica di apertura, nel parlante. La persona che riceve questo tipo di atteggiamento si sente infatti capita, accettata e non giudicata. E’ come se gli si dicesse (metamessaggio) che può aprirsi, farsi vedere, abbassare le difese.
La parafrasi e la riflessione del sentimento creano un clima di fiducia. In questo clima di fiducia è possibile poi confrontarsi con l’altro, dire il proprio punto di vista, attraverso l’uso del messaggio in prima persona. Ciò facilita la convergenza tra i partner della relazione, portandoli verso la soluzione del problema.
L’empatia che si esprime attraverso la riflessione del contenuto e la riflessione del sentimento fa sì che quando ciò che l’altro ci dice non ci è ancora chiaro, ci può essere chiarito attraverso l’uso di queste due modalità. Inoltre, l’atteggiamento empatico determina nell’altro una condizione di abbassamento delle difese, proprio perché, come dicevo prima, la persona non si sente giudicata e non sentendosi in ansia per essere sottoposta a un giudizio si autoesplora più facilmente e quindi si chiarisce anche più facilmente. L’obiettivo finale è quello di risolvere un problema partendo da premesse chiare, attraverso un processo interattivo e introspettivo
libero da intoppi difensivi.
In una interazione, quando uno dei due ha ricevuto un atteggiamento empatico da parte dell’altro, sarà più disposto a sentire e quindi a mostrare altrettanta apertura e comprensione. Per questo, il messaggio in prima persona, usato per confrontarsi, esprimendo il proprio punto di vista si rivela più efficace quando segue ad un intervento fatto in termini di rimando empatico.
Per introdurre l’ascolto attivo è utile usare alcune frasi.
Se siete abbastanza sicuri di aver capito bene è bene usare frasi come. “Ti senti… Secondo te… Tu pensi… Mi stai dicendo che.. Vuoi dire che…”
Se invece non siete abbastanza sicuri di aver capito bene, conviene usare frasi come…” Potrebbe essere che.. Mi chiede se… Non so se ho capito, ma… Correggimi se sbaglio, ma… E’ possibile che… Sembra che tu… Forse ti senti…”

I casi in cui conviene ricorrere all’ascolto attivo sono i seguenti:

  • quando ricevete segnali verbali e-o non verbali che indicano che la persona ha un problema
  • volete veramente aiutare la persona
  • la persona non vi irrita
  • siete in grado di dare attenzione alla persona.

Non conviene invece ricorrere all’ascolto attivo quando:

  • non ci sono problemi da risolvere, perché magari la persona vuole da voi solo informazioni
  • non volete essere di aiuto in quella circostanza
  • la persona vi irrita
  • siete presi da altri problemi e non vi va di dare attenzione all’altro
  • la persona esprime le proprie idee in modo così chiaro che non c’è bisogno di ulteriori chiarimenti.

Concludendo, saper comunicare rappresenta una modalità di gestione del cambiamento, perché dietro la resistenza che suscita il cambiamento spesso c’è una paura e quindi un bisogno di sicurezza o di affermazione insoddisfatto. Attraverso l’ascolto empatico comunichiamo all’altro senso di valorizzazione, andando ad agire così positivamente sui bisogni di sicurezza e/o su quelli di stima (bisogni di affermazione). Inoltre attraverso l’uso dell’empatia, l’ascoltatore agisce come contenitore dell’insicurezza dell’altro, aiutandolo così ad accettarla. Il contenimento e l’accettazione infatti tolgono ai vissuti il carattere di minacciosità e di vergogna, aprendo così la strada al loro possibile superamento.
La funzione di contenimento delle ansie del collaboratore è tra le competenze più importanti del leader, perché in questo modo metacomunica anche solidità e affidabilità, rappresentando nel contempo un modello di riferimento.